Mediterraneo: molte derive (e alcuni approdi).

Appunti dalla lettura di Societing 4.0 di Alex Giordano.

La vita che pulsa e si plasma in infinite ricombinazioni, nonostante tutto. La spinta innovatrice, assertiva, pro-positiva, che prende la forma ora di pratiche industriose — innescate da piani sempre più bassi della piramide di Maslow — ora di sperimentazioni sociali puntiformi, episodiche, apparentemente casuali eppure connesse in una infosfera le cui terminazioni sono sempre più evidentemente socio-tecniche (per dare al brutto neologismo “fisico-digitale”, o, peggio “figitale”, la definizione che si merita).

Bruno Latour osserva con sguardo quasi divertito l’affanno con cui tentiamo di spiegare la “imprevedibile accelerazione del mondo” (Joi Ito) come fenomenologia sociale, dove con questo termine — sociale — intendiamo un costrutto relazionale che unisce essenzialmente le persone.

Ebbene, no, non sono le persone a dare corpo al domino del sociale (e del reale?) ma le persone insieme a tutto il resto: i virus, le protesi tecnologiche con cui costruiamo il senso di ciò che in quanto complesso non può essere spiegato da nessun approccio specialistico, i documenti, le norme.

Tutto interagisce nel campo del reale costruendo ciò che viviamo.

Mi pare ci sia la (ri)connessione di questa idea di sociale entro un modello narrativo e in qualche modo strategico alla base dell’idea di Societing 4.0, ben più di un aggiornamento dell’ormai classico Societing Reloaded di una decina di anni fa.

La ricomposizione, entro un discorso sicuramente ancora conativo, ipotetico, che prova ad attualizzare all’oggi pandemico le evidenze di molte lezioni imparate, dà una possibile (e sperabile) chiave d’accesso alla caosmosi, quel brodo primordiale in cui pratiche discorsive si fondono, mescolano, con altre più strettamente immaginative.

Non è un caso se questo, che alla fine è un framework di politiche, viene proposto e dato in pasto al dibattito dei practitioner, quelli che a vario titolo provano a perimetrare con azioni ora di ricerca, ora di azione, ora di un mix di queste due, il campo di ciò che può sostenere un’alternativa al modello di sviluppo monocratico, monoteistico, monoculturale in cui e di cui siamo inzuppati.

Ora più che mai questo dibattito appare ricco in termini quantitativi e meno in termini qualitativi, e il fatto che la parola più frequente nel testo sia ‘ponte’ la dice lunga sull’urgenza di crearne, tra mondi e modi di pensare. Innescare i dibattito, ma come? Per esempio, con dosi massicce di détournement, dirottamento di senso e risignificazione delle componenti situazionali dell’innovazione.

Farlo con metodo, a partire dalla disamina di una serie di traiettorie riformiste mai decollate quando non apertamente fallimentari (come nel caso della retorica delle ‘eccellenze’ — si veda il made in Italy — , uno dei punti polemici più illuminanti del libro, non-strategie basate sul tentativo di sistematizzazione di apporti importanti ma pur sempre individuali, non esito cioè di alcuna scelta politica, di approcci tentativi alle politiche di coesione che se pur apprezzabili scontano l’assenza di una componente strutturale capace di dare prospettiva duratura).

L’innovazione sociale come pratica “situazionista” è una delle folgoranti intuizioni suggerite da societing 4.0 (peraltro, qui Alex Giordano non lo dice mai esplicitamente, ma tant’è, quella è la matrice). Una pratica, molto più che una disciplina o una competenza specialistica, un effetto emergente dall’interazione — ancora — di attori e oggetti all’interno di spazi disegnati per un’idea molto più radicale della ‘banale’ serendipity.

La scomposizione ironica, sovversiva e generativa di senso, la connessione di elementi incongrui, spurî, fino alla la riscrittura creativa della storia e della geografia (come non collocare in un dominio psicogeografico il concetto di spime — crasi di space and time, ricordato nel testo, un neologismo coniato dallo scrittore Bruce Sterling che indica un oggetto che può essere rintracciato attraverso lo spazio e il tempo per tutta la durata della sua esistenza).

Una “riscrittura della storia e delle geografia” che si sostanzia nella (non nuova, ma detta meglio) ri-semantizzazione dell’idea di Mediterraneo, usato qui come operatore logico dell’integrazione, come dispositivo coesivo e significante, come bacino di sensemaking all’interno del quale far galleggiare tattiche ‘meridionaliste’ (e perciò, per sineddoche, mediterranee) ora alimentari (la dieta), ora attitudinali (la lentezza), una condizione esistenziale (l’autonomia).

È in questa prospettiva che si colloca una delle proposte più situate (e situazioniste) del framework: l’applicazione alle ormai onnipresenti aree interne di questa prospettiva mediterranea. Un’intuizione situata, quindi, perché declinata su un oggetto circoscritto nello spazio. E sicuramente corretta, perché assume la condizione del ‘margine’ (o dell’orlo, come mi piace dire) come di per se sufficiente per essere trattata come playground di innovazione di modelli imprenditoriali e di nuovo abitare (per citare Salvatore Iaconesi).

“Riabitare l’Italia” dei borghi è una dei buzz-concepts di questo tempo pandemico, che manca però in larga misura di un modello organizzativo che lo renda credibile. Cioè: è molto poetico dire ‘torniamo alla campagna’, ma come facciamo a restarci? Quali modelli di convivenza e di sostegno pubblico sono necessari? Societing 4.0 dà alcune risposte e fa molte domande, com’è giusto.

Ne farei alcune anche io, per concludere:

  1. i territori delle ‘aree interne’ hanno più o meno tutti gli stessi problemi: il pensiero mediterraneo va ‘riusato’ anche per una nuova interpretazione di una certa ‘questione settentrionale’ (where Giordano meets Bonomi :)

  2. come potremmo fare di ciò che lo è già nei fatti una piattaforma che, intesa in senso aggregato, possa rappresentare una possibile via di uscita dalla condizione di crisi?

  3. Atteso che “ l’innovazione tecnologica o è innovazione sociale o non è” (come ribadito), quanto è vero anche il contrario? Quanto è indispensabile non solo avere soluzioni (rischiando di scadere nel soluzionismo, citando Morozov) ma una visione digitale latu sensu del cambiamento sociale?

  4. Quali sono infine le condizioni in cui può innescarsi un effetto spillover sul sistema economico, di imitazione tra pratiche locali e produzione di valore reale?


Pubblicato anche su Medium.

Indietro
Indietro

dazed gaze (in the maze).

Avanti
Avanti

Cristo si è fermato?