Cristo si è fermato?

Mi ha molto colpito questa lettera di Franco Arminio, indirizzata a Giuseppe Conte. Arminio, di cui in tanti ammiriamo la capacità di raccontare, diciamo la spinta sicuramente pionieristica alla mitopoiesi dell’italia ‘interna’, si rivolge al Presidente — foggiano — facendogli notare quanto quella dei ‘paesi delle aree interne’ debba essere tema da mettere al centro dell’agenda. E lo fa – ancora – raccontando la storia delle ordinarie frustrazioni che, viste dall’osservatorio delle regioni meridionali, paiono descrivere una traiettoria di declino inesorabile, esponenziale, definitivo. L’idea di una svendita, dell’acquiescente presa d’atto dell’esistenza di un-Paese-a-due-velocità, della lontananza e mancanza di empatia (dis-patia) verso gli sfortunati abitanti di quelle plaghe disfunzionali, depauperate, abbandonate da Dio e dagli uomini. Una cornice di senso – vogliamo chiamarla carlolevismo? – che assume Aliano (MT) come cartina tornasole dell’intera fenomenologia dei ‘territori fragili’. Una narrazione, appunto, che mi pare – sicuramente sbaglio – fuori fuoco e, in definitiva, forse, incapace di produrre quella ‘innovazione sociale trasformativa’ di cui parla Ezio Manzini nel suo ben noto e discusso recente contributo.

Mi ha comunque stimolato alcune considerazioni polemiche sui modi possibili di una politica per le aree interne. E della piega che potrà prendere nelle mani dei nuovi governanti.

Reddito di marginalità.

In Italia, in europa, ovunque, le aree rurali pongono con forza autoevidente la questione dell’abitare locale. E’ una questione di numeri. Se buona parte della popolazione del mondo si inurba, cosa resterà di ciò-che-non-è-città? Non c’è una specificità italiana in questo: ovunque le aree montane o interne sollecitano politiche regolative e di incentivo (in questi giorni si discute l’adozione di una Agenda Montana sulla scorta di quella urbana). Il tema è squisitamente politico, quindi bene fa Arminio a rivolgersi a un Governo, ancorché sulla carta non particolarmente brillante.

E’ politico perché i ‘lasciati indietro’ (The left behind), come recita il titolo di un bel libro di Robert Wuthnow che racconta come l’avvento di Trump sia da ricercare prima di tutto nelle campagne, sono arrabbiati. Stanchi. Rancorosi. E il nostro Governo di quel rancore è a tal punto il prodotto, quel fenomeno lo conosce talmente bene da aver puntato tutto su una misura tutta incentrata a placarlo, puntando sul consenso. Non una politica per le aree marginali, ma per le persone marginali, massa deterritorializzata.

Ministeri del Sud.

C’è un rischio, intrinseco al punto di osservazione meridiano di chi lo produce: di confondere il tema dello spopolamento delle aree interne con una nuova ‘questione meridionale’, che pure resiste, irrisolta, è ovvio, ma non ha quasi nulla a che fare con la marginalità delle aree interne del sud (che peraltro, ironicamente, sono geograficamente assai ‘meno interne’ di quelle del nord). I centri storici delle principali città del sud sono infatti le prime sacche di spopolamento – penso al caso di Cosenza, inquietante. I giovani scappano dal sud. Da tutto il sud, con alcune rare eccezioni.

Discount?

Paradossalmente, una di queste rare eccezioni – Matera – vive una fase opposta all’idea di discount paventato da Arminio: un outlet, più che un discount, per il livello di falsificazione cui è giunto il ri-disegno dei sassi come immensa quinta teatrale, un crescendo baudriallariano in cui il vero (la città) è diventato più falso del falso. Un delirio – abilitato dal solito… digitale – in cui il simulacro iconico del ‘presepe’ è stato sussunto da una pseudo città che tutto è meno che un discount, dove cioè la rendita impazza, gli ex-tuguri sono tutti relais di charme e non trovi un negozio, una bottega, nel raggio di centinaia di metri di scalini.


[originariamente pubblicato su Medium]

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Mediterraneo: molte derive (e alcuni approdi).

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