Appunti sulla pratica.

Da una parte c’è la testa. 

[“Sii come l'acqua che si fa strada attraverso le crepe. Non essere assertivo, ma adattati all'oggetto e troverai un modo per aggirarlo o attraversarlo. Se nulla dentro di te rimane rigido, le cose esteriori si riveleranno. Svuota la tua mente, sii senza forma. Informe, come l'acqua. Se metti l'acqua in una tazza, diventa la tazza. Metti l'acqua in una bottiglia e diventa la bottiglia. Lo metti in una teiera e diventa la teiera. Ora, l'acqua può scorrere o può schiantarsi. Sii acqua, amico mio” - Be Water, My Friend: The True Teachings of Bruce Lee]

E il libero arbitrio, l'autodeterminazione, l'autocoscienza. La mindfulness. La presenza. Dice: fai ordine dentro di te. Ripulisciti dalle impurità e dalle dissolutezze. Fai silenzio, cerca il deserto. In questi giorni questa è un’immagine che mi torna spesso in mente: il deserto, luogo della sottrazione e dell’incontro con il vuoto, il nulla, il grande Altro. Uno spazio da riempire di senso liberandosi dal caos interiore. Con disciplina. E mentre scrivo queste note cerco di ricordarmi della scrittura automatica, che aveva proprio come obiettivo essenziale questo azzeramento monastico. In ogni cultura e religione l’ascesi ha a che fare principalmente con la sottrazione, il togliere, a mezzo di rinuncia allo strapotere del primo vincolo che ci trattiene dall’essere retti: il pensiero. 

Dall’altra c’è il corpo. 

[“Eppure, le prove scientifiche emergenti suggeriscono sempre più che essere consapevoli di chi sei - essere autocosciente - dipende davvero, non solo dai processi nel tuo cervello, ma anche da ciò che sta accadendo nel profondo dei tuoi visceri” - A stable sense of self is rooted in the lungs, heart and gut, Alessandro Monti, Aeon]

E la casa dell’anima, e il corpo sacro,  e l’allenamento, e il digiuno. E ogni forma di metrica applicata al suo funzionamento. Battiti. Centimetri. Chilometri. Vivere significa disporre di un corpo funzionante. Non avere un corpo impedisce l’idea stessa del pensiero, dato che le capacità cognitive sono alimentate dagli stessi composti chimici organici di cui si cibano i muscoli. Pensiamo, in quanto macchine complesse che sanno svolgere i compiti meccanici più banali fino a quelli speculativi più complessi. E per pensare occorre allenare il corpo, rafforzandolo ogni giorno ovvero decidendo deliberatamente di oltraggiarlo, offenderlo con comportamenti di sfida e di messa alla prova. Perché un conto è volere, un conto è potere. Anche qui sta il grande limite della libertà: fare quello che possiamo, non quello che vogliamo. Il secondo vincolo è il corpo: sempre decade e decide cosa ci serve e cosa no. 

E poi c’è la pratica. 

[“La tua calligrafia. Il modo in cui cammini. Quale modello di porcellana scegli. tutto ti sta dando via. Tutto quello che fai mostra la tua mano. Tutto è un autoritratto. Tutto è un diario».

Chuck Palahniuk, Diario]

E mettere al centro il fare. E diamoci da fare. E doing, not talking. E i prototipi, che ci mostrano come funzionerà. Dice: datti degli obiettivi di crescita. Definisci gli obiettivi e i risultati chiave da cui potrai misurarne il raggiungimento. Misura. Tieni traccia. Capisci come cambi. Fallo e basta - just do it. Con un detour un po’ osèe, si può dire così davvero. Just-do (it). Fare e basta significa mettere da parte la teoria assumendo che la pratica sia essa stessa un’azione in grado di produrre conoscenza speculativa. Che la pratica serva per ‘incorporare’ nella fatica nei fluidi nelle ferite nelle contusioni il nostro pensiero. Fare con le mani disconnettendo il pensiero, lasciando che siano le mani a decidere per noi. 

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Arte, fatti, artefatti.

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dazed gaze (in the maze).